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Il lancio del formaggio

dicembre 15, 2017 - giornalismo
Il lancio del formaggio

Guardare gli altri ti fa venire voglia di giocare. Chi prima ti ha accolto in modo educato e gentile, ora è rapito dall’adrenalina della gara. Non c’è palestra, né campo, non c’è allenatore, né spogliatoio. Ci si incontra davanti ad uno dei bar intorno alla piazza del paese, si formano le squadre e alcuni fermano il traffico.

Il lanciatore si prepara per il tiro, gli astanti lo vedono, si mettono al riparo e si comincia.

Non se ne sente parlare spesso, ma il gioco del lancio del formaggio è praticato da sempre in tante regioni italiane. Si gioca così: ogni squadra ha una forma, l’arrotola con uno spago o una fettuccia e lo lancia lungo un percorso. Individuale o a coppie, vincerà chi manderà il cacio più lontano con lo stesso numero di tiri. Il premio è la forma dell’avversario.

Siamo in mezzo alla strada principale di Pontelandolfo, paesino della Campania, a pochi chilometri da Caserta, famoso per la torre medioevale che sorge sulla piazza centrale.

E’ febbraio e, come in tutto il periodo del Carnevale, ogni giorno per circa un mese, è concesso praticare questo divertimento popolare su suolo pubblico. I negozi intorno si sono premuniti mettendo delle assi di legno davanti alle vetrine, le automobili sono state allontanate, i divieti di parcheggio distribuiti.

Il lanciatore, prende la rincorsa, salta sotto lo sforzo del lancio, la fettuccia si srotola rapidamente e lascia andare la forma di 25 kg di parmigiano. Tutti la seguono con gli occhi, gira veloce tra le case, la chiesa e la fontana della piazza, un po’ come dentro un sogno. Non avresti mai creduto che una forma rotolasse così bene, neppure che andasse velocemente così lontano.

Non avresti neppure immaginato che avrebbe tenuto così bene la strada, sbattendo sul marciapiede quel tanto da fargli seguire la curva. Colpisce un palo, rallenta la corsa, ubriaca, si siede comodamente su un lato.

Al passaggio fanno eco dei brevi “Oh” di avviso. Decine di uomini impegnati a misurare, contare, litigare, si voltano mettendosi al riparo dall’imprevedibile traiettoria del latticino roteante.

L’adrenalina è forte. La tecnica dei giocatori ammirevole. Correre su e giù stanca, ma avere un’intera caciotta sotto gli occhi per tutta l’intera gara ti fa venire un’insolita acquolina alla gola. Un pensiero esula dalla competizione: l’aspetto gastronomico, che per un istante, prende il sopravvento. Come sarebbe bello mangiarne un pezzetto: pecorino, asiago, parmigiano.

La partita finisce e, dopo un pomeriggio trascorso all’aria aperta, è ormai buio. Il vincitore soddisfatto divide la forma dell’avversario con i tifosi che hanno condiviso la spesa della forma. Tutti tornano a casa, la piazza si svuota.

Il gioco del lancio del formaggio è sempre stato praticato tra pastori, però sembra addirittura essere stato inventato dagli etruschi in tempi immemorabili. Accomunato con la ruzzola, che consiste nel lanciare una ruota di legno o plastica, già nel medioevo era largamente in voga nella classe popolare. Proprio per questo motivo, pochi ne hanno scritto per ricordarne le regole e la bellezza, ma molti signori nobili e principi hanno cercato di limitarne la pratica. Ecco i motivi: il gioco si svolge su suolo pubblico, a rischio e pericolo dei passanti, dei carri e degli abitanti, causando spesso danni materiali ad animali, cose o persone.

Già nel 1566 un bando regio del duca di Firenze vietava espressamente il gioco nelle piazze, facendo riferimento oltre che ai dadi, anche alle girelle lanciate su suolo pubblico. Così avvenne in ogni regno che componeva lo stivale italiano a quel tempo, fino a che il gioco non fu permesso soltanto in un periodo dell’anno, quello del Carnevale, appunto.

Ma c’è un altro motivo: si dice che il premio in gioco non fosse solo la forma, ma che i tifosi puntassero sull’uno o l’altro giocatore scommettendo molto più di un pezzo di cacio.

Esistono storie impresse nella saggezza popolare riguardanti esorbitanti vittorie e smisurate perdite legate al lancio del formaggio come gioco d’azzardo.

Qui a Pontelandolfo si ricorda ancora del contadino, di nome Pasquale che sfidò un ricco barone al gioco di carte tresette. Il lavorante riuscì a vincere ed aggiudicarsi due masserie ed un pascolo per le mucche. Il nobile accettò la sconfitta e rinunciò a quei beni. Accadde però che le mucche del barone continuarono a pascolare nella proprietà divenuta di Pasquale. Il contadino, quando se ne accorse, non esitò a chiedere al barone il latte delle mucche. Il barone, offeso e con l’intento di offendere, fece appendere una forma di formaggio fuori dalla casa del contadino. Pasquale allora, propose di terminare la contesa con un altro gioco: il lancio del formaggio. Si dice che, da quel tempo, non abbiano mai smesso di giocare.

Oggi praticare questa attività è certamente un’ esperienza diversa rispetto a come poteva essere cento o trecento anni fa.

La Federazione Italiana Giochi e Sport tradizionali, detta Figest, è riuscita nell’impresa di nobilitarlo a vero e proprio sport. Ha unificato tutte le regole in un solo regolamento e creato una disciplina che nel 2016 si è candidato per le Olimpiadi di Tokyo del 2020.

Sono stati organizzati tornei nazionali a squadre e individuali, per parteciparvi è obbligatoria una tessera sportiva, una divisa diversa per ogni squadra. Le forme di 1, 3, 6, 9, 22, 25 kilogrammi dividono i lanciatori in categorie. Il gioco è protetto dall’Unesco tra i Patrimoni orali e immateriali della comunità.

Il gioco che ora impegna gli atleti in trasferte, coinvolge soprattutto atleti maschi. Debora Perugini, è l’eccezione che conferma la regola: l’unica ragazza giocatrice tesserata in Italia. Nata a Pontelandolfo ha cominciato a giocare all’età di 11 anni trascinata dall’entusiasmo del padre Francesco, campione di categoria 9Kg. Ora ne ha ventuno e mentre si prepara a diventare assistente giudiziaria, lancia nelle categorie di 1, 3, 6, fino a 9 kg. Anche Giovanni Longo è un raro rappresentante della sua generazione che non ha tardato a farsi notare. All’età di appena 15 anni ha conquistato il 2° posto nella categoria dei 9 Kg durante il Trofeo Padre Pio che coinvolgeva atleti di un certo calibro venuti da varie regioni.

La questione la ribadisce il presidente Tiziano Cimadamore, dell’associazione Lo Cascio di Fermo durante il pranzo prima di una partita: “Anche se gli appassionati a questo gioco sono molti, non esiste il ricambio generazionale, i giovani non si avvicinano facilmente agli sport tradizionali. Neppure le donne partecipano, l’ambiente è interamente composto da uomini.

Forse anche perché è un po’ costoso: esercitarsi, giocare, imparare e partecipare ai tornei, richiede l’acquisto di un formaggio completamente nuovo . Non puoi cominciare una partita con una forma già utilizzata perchè si rovina durante il gioco. Accade a volte che si rompa e che vada cambiata durante la stessa partita.”

Mentre ripone nei piatti una tipica specialità fermana chiamata Galantina il presidente racconta:

Il tipo di formaggio che si usa da queste parti per giocare ed allenarsi è un duro formaggio di latte vaccino, prodotto in Alto Adige e cagliato in Italia. Una volta l’anno andiamo di persona a scegliere le forme più rotonde, perché il trasporto nei bancali potrebbe ovalizzarle, e non rotolerebbero bene lungo il percorso. “

Mentre parla allunga una grossa fetta di formaggio alla cagnolona san Bernardo Emma, che ci ha accolto al nostro arrivo, lei lo prende in bocca scodinzolando felice.

Poiché non è sempre possibile giocare con il formaggio, d’estate giochiamo alla Ruzzola, che è lo stesso gioco con le le stesse regole, ma utilizzando una disco invece del formaggio. La ruzzola è un disco di legno o plastica, invece il formaggio è qualcosa di vivo. Una volta comprato continua a stagionare e avvengono dei cambiamenti dal momento in cui lo compriamo a quando lo utilizziamo. Dobbiamo fare attenzione a come lo conserviamo in quel lasso di tempo. Nessuno dettaglio va sottovalutato: la conservazione, la temperatura durante la giornata della partita, anche la preparazione della forma è importante. Inizialmente la forma è oleosa e non è possibile tenerla saldamente. Per prepararla al lancio bisogna sgrassarla leggermente con un coltello, è necessaria una certa abilità per non esagerare e rischiare di indebolirla.

La tecnica di lancio va valutata in base al tratto di percorso in cui la forma rotolerà. Se le strade sono in salita, discesa o in curva. Nelle nostre zone ci sono molte strade a gobba d’asino con lo scolo dell’acqua ai lati e il marciapiede. Tutti i lanci perciò sono diversi.”

Mentre parla scalfisce e poi ripone nei piatti dei grossi pezzi di pecorino sardo e parmigiano reggiano. Specifica: “Con questo non c’abbiamo giocato.” E ce li porge.

Mentre assaggiamo i saporiti latticini, giunge una voce dall’altra parte della sala: “ La combinazione perfetta è con la marmellata di fichi!” Un segreto urlato a squarciagola.

Del resto è rinomato l’abbinamento tra formaggio e frutta, squisitezza confermata anche dal detto popolare ”Al contadino non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere”. Se non lo avete mai fatto è il momento di provare.

Mentre le vostre papille gustative prima sentono il sale del formaggio, poi l’estrema dolcezza delle marmellate, chiudete gli occhi e pensate alla perfezione della forma tonda, lasciatevi guidare da lei, mentre rotola, rotola lungo strade di cui avete solo sentito parlare.

©Riproduzione riservata.

L’articolo è stato pubblicato in inglese nel 2017 su Primo Magazine, magazine italo americano con sede in Washington DC.